“Malìa ” è il titolo della mostra di Amalia Cesareo, che, se da un lato evoca contesti incantati
dall’altro ci riporta al nome dell’artista troncato da una sorta di <alfa privativo>: un
gioco di parole che parla di paesaggi argentati dalla luna, madonnine attente
al bambinello, paladini saraceni colorati ed efebici, il tutto realizzato su
pezzi di legno consumati dal mare, frammenti di un mondo che fu, raccattati
sulla spiaggia di Capo Milazzo, dopo una tempesta furibonda o abbandonati dallo sciabordio delle
onde mentre impera la bonaccia.
Amalia è una creativa che, da sempre, si esprime lavorando
con passione i “tesori del mare”( “i miei figli hanno mangiato pasta condita
con colori acrilici”) prendendo spunto dalla loro forma acquisita
dall’incessante va e vieni delle onde e “aggiungendo” ciò che la stessa forma
le suggerisce.
Scrive sulla brochure di presentazione il noto pittore Enzo
Celi: “…e anche quando (Amalia) ci
consegna la bellezza della natura, spesso questa bellezza rivela qualcosa di tragico, di
drammatico perché attinto da fatti o da condizioni che l’artista vive senza
pietismo, né esitazione ma con coraggio e generosità”.
Accettiamo, senza polemizzare, la sensazione di dramma
incombente letta da Celi ( intravedo in Amalia vitalissimi segni di felicità di vivere) ma
quanto alla generosità della Cesareo possiamo testimoniare che questa c’è, nei
fatti: Amalia non ama vendere le opere esposte alla “Pegaso”, semmai le regala
con incedere aristocratico. L’unica concessione
che fa al “mercato” la realizza esponendo le proprie opere in una
piccola quanto raffinata galleria, gestita con grazia dall’amica Teresa
Martines, in via Ghibellina. Guardare, per emozionarsi. Adele Fortino
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